In questo articolo vorrei soffermarmi sui disturbi alimentarti nei bambini. Questo genere di problemi possono infatti manifestarsi già verso i quattro o cinque anni di età con comportamenti come la selettività del cibo, il rifiuto di mangiare, manie alimentari, un’alimentazione ristrettiva o un’iperalimentazione.
Il ruolo dei genitori
Giorni o periodi di inappetenza fanno parte della normale vita del bambino e quindi non dovrebbero creare preoccupazione. Problemi simili possono essere dovuti a dei cambiamenti nel regime alimentare. Ad esempio durante il passaggio da un’alimentazione liquida a una solida, o da dolce a salata, il bambino può soffrire di vari malesseri fisici. Può capitare comunque che il bambino assuma di fronte al cibo degli atteggiamenti che possono preoccupare il genitore, provocando ansia all’interno del sistema familiare. Il fatto che il bambino possa notare queste paure e comprendere il vantaggio secondario che ne può derivare, anche solo nell’attirare l’attenzione, può contribuire a mantenere questo atteggiamento problematico.
Il nutrimento come metafora
Ecco che in questo modo il cibo e l’alimentazione assumono significati diversi che vanno oltre il concetto di nutrimento. Nutrirsi non è solo un momento di soddisfazione di un bisogno fisiologico, ma diventa una metafora con forti connotazioni simboliche e comunicative.
Per le madri spesso il cibo non è solo l’elemento fondamentale per la crescita del figlio, ma un simbolo delle proprie capacità di cura. Il rifiuto del cibo, anche se limitato ed occasionale, crea facilmente nelle donne ansiose o insicure un senso di inadeguatezza che le porta ad insistere nel proporre alimenti, anche quando il bambino li rifiuta per un motivo qualsiasi. Questo insistere diventa presto una lotta tra il figlio e la madre. Il bambino verrà danneggiato da una sensazione quasi di soffocamento causata dall’ansia materna, perdendo il piacere del cibo. La madre a sua volta vivrà momenti di stress e depressione, in quanto avverte il figlio come fonte di problemi piuttosto che di gioia e gratificazione. In generale:
“Più intensi saranno i conflitti tra la madre e il bambino durante il pasto, maggiori saranno i comportamenti di rifiuto alimentare”.
(Ammaniti)
Quando possiamo parlare di disturbo alimentare nell’infanzia?
Parliamo di disturbi alimentari quando è presente un alterato consumo o assorbimento del cibo, tale da compromettere la salute fisica e/o il funzionamento psicosociale della persona. I disturbi alimentari hanno un forte impatto non solo su chi che ne soffre, ma anche sulla sua famiglia.
Questi disturbi solitamente emergono in età adolescenziale, ma negli ultimi anni si assiste sempre più spesso ad esordi precoci, già durante l’infanzia e la prima adolescenza. La diagnosi di disturbi alimentari infantili dovrebbe essere presa in considerazione quando il bambino mostra difficoltà significative nel seguire regimi di alimentazione regolari, ovvero quando la sua alimentazione non è in accordo con le sensazioni fisiologiche di fame e sazietà. A livello psicologico determinati comportamenti alimentari possono essere un campanello di allarme e un segnale di disagio o di difficoltà nell’esprimere in parole i propri pensieri ed emozioni.
Quali sono i disturbi alimentari dell’infanzia?
Disturbi alimentari più frequenti e sempre più precoci nei bambini sono:
Arfid
Nel DSM-5 (ultima edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) viene descritta una nuova forma di disturbo di comportamento alimentare: l’ARFID (Avoidant/Restrictive Food Intake Disorder, in italiano Disturbo evitante/restrittivo nell’assunzione di cibo). Colpisce soprattutto i bambini già da due o tre anni fino alla preadolescenza e in particolare i maschi. Può manifestarsi in diverse forme, la più comune delle quali è un’eccessiva selettività del cibo: chi ne è affetto infatti potrebbe prediligere solo alimenti di un determinato colore o di una specifica consistenza. L’ARFID può manifestarsi anche sotto forma di una assunzione insufficiente. Questo fa sì che chi ne è colpito possa non assumere tutte le sostanze nutritive necessarie con possibili complicanze mediche e difficoltà che possono interferire con una corretta socialità. La restrizione alimentare non è correlata alla preoccupazione per il peso o la forma del corpo e questo contraddistingue l’ARFID dall’Anoressia Nervosa.
Disfagia funzionale
Si presenta quando un bambino ha subito un trauma legato al cibo, per esempio se ha rischiato di soffocare per un boccone andato di traverso o lo ha visto accadere a qualcuno. In questi casi il bambino mangia con difficoltà proprio perché ha paura di rivivere questa esperienza.
Anoressia nervosa infantile
Si osserva una significativa perdita di peso dovuta al rifiuto di alimentarsi adeguatamente. Prima dei 3 anni il bambino con anoressia infantile non comunica la fame e non ha alcun interesse per il cibo, pur mostrando grande curiosità per l’esplorazione dell’ambiente.
Cosa fare se il bambino si rifiuta di mangiare
1. Dobbiamo osservarlo e rispondere a delle semplici domande
Innanzitutto è bene escludere con l’aiuto del pediatra la presenza di qualsiasi disturbo fisiologico, come stipsi, reflusso o simili. Una volta escluse le cause fisiche, le ragioni per cui un bambino rifiuta il cibo durante i pasti potrebbero essere diverse:
- Vuole mostrare di avere un certo controllo. Per esempio sa che nel giro di poco tempo potrà avere accesso a un alimento che gli piace mangiare (dolcetti, cracker, patatine etc.).
- Nelle ore precedenti ha mangiato con vari spuntini.
- Rifiutando il cibo ottiene molte attenzioni.
- Gli piace creare confusione a tavola e sfidare il genitore.
Talvolta questi atteggiamenti potrebbero essere segni precoci di un disturbo oppositivo-provocatorio. In questo caso il genitore dovrebbe trovare difficile gestire il bambino in vari ambiti oltre che a quello del cibo. Si tratta di bambini che hanno facili scoppi di collera, tendenzialmente capricciosi e disobbedienti.
2. Domande che un genitore deve porsi di fronte al bambino che non mangia
- Al momento di andare a tavola, il mio bambino ha veramente fame?
- Ha consumato qualche snack che gli ha tolto l’appetito?
- Il momento del pranzo è per lui spiacevole ? Ad esempio deve interrompere attività più gradevoli?
- Sto mettendo troppa pressione su di lui affinché mangi?
- Mio figlio mangia normalmente fuori casa con altre persone?
- Avverto tensione quando è il momento di andare a tavola?
- Quando mio figlio rifiuta di mangiare me la prendo eccessivamente?
- Considero il rifiuto del cibo da parte di mio figlio come un rifiuto nei miei confronti?
- Mi aspetto che mio figlio mangi più di quanto ha effettivamente bisogno?
Consigli pratici
Atmosfera a tavola
Al fine di evitare di associare al cibo emozioni negative, è bene creare durante i pasti un’atmosfera gradevole e libera da tensioni, evitando argomenti di discussione troppo accesi o spiacevoli. La televisione dovrebbe essere spenta durante i pasti. Se il bambino è piccolo possiamo intrattenerlo raccontandogli delle favole inventate al momento.
Evitare forzature
Dobbiamo evitare di forzare a tutti i costi il bambino a mangiare. I genitori non devono riprendere il bambino con frasi come “stai seduto composto!”, “mangia tutto e non lasciare niente nel piatto! Sai quanti bambini nel mondo soffrono la fame?” o simili. Cerchiamo di vivere e far vivere questo momento con gioia, stimolando il dialogo in modo che il pasto diventi occasione di incontro e non di scontro. Sarebbe bene non pretendere dai più piccoli che mangino in modo impeccabile ed “educato”. Il bambino deve imparare a mangiare autonomamente con un suo cucchiaio o anche con le mani, per soddisfare il piacere di alimentarsi da solo.
Presentazione del cibo
Sulla tavola offriamo cibi piacciono al bambino, ma accanto mettiamo anche nuove pietanze. I bambini accettano più facilmente cibi nuovi se vedono gli altri commensali mangiarli. Ricordiamoci che quando mangiamo conta molto il colore, l’odore e l’aspetto. Queste qualità che possono infatti influenzare positivamente o negativamente la percezione gustativa. Per quanto riguarda la quantità, mettiamo nel suo piatto una piccola porzione di cibo o comunque una quantità inferiore a quella che lui mangerebbe, cosicché sia lui stesso a chiederne dell’altro. Quando e se possibile facciamo in modo che sia il bambino stesso a servirsi direttamente dal piatto di portata.
Rispettare tempi ed esigenze del bambino
Non mettiamo fretta al bambino durante l’alimentazione. Lasciamo che mastichi lentamente e che gusti con piacere ogni alimento. Se il bambino è abbastanza grande può essere una buona idea farlo partecipare alla scelta e alla preparazione dei cibi, in modo tale da renderlo protagonista della sua alimentazione. Nel caso in cui il bambino non mangi tutto quello che è stato preparato da noi, non mostriamo alcun segno di disappunto, né tantomeno insistiamo affinché finisca. Togliamo invece con un bel sorriso la pietanza dalla tavola e passiamo alla successiva portata. Se questa non è prevista, interrompiamo il momento del pranzo. Non diamo premi se il bambino mangia o castighi se non mangia, perché il cibo dovrebbe essere di per sé un piacere. Se per un certo periodo l’appetito del bambino diminuisce non agitiamoci e non facciamo notare la nostra preoccupazione, ma attendiamo serenamente che passi questa fase.
Riferimenti bibliografici
- Bryant-Waugh, R., Markham, L., Kreipe, R. & Walsh, T. (2010). Feeding and eating disorders in childhood. Int J eating disorders, 43, 98-111.
- Ammaniti, M., Luccarelli, L., Cimino, S. Et al. (2011). Feeding disorders in infancy: A longitudinal study to the middle childhood. International Journal of eating Disorders.
- DSM-5: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Cortina, Milano, 2014